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pubblicato il 17 ottobre 2023
Orrore all’Ospedale di Al Ahly. Intervengano le Nazioni unite Apprendiamo con orrore del bombardamento dell’Ospedale di Al Ahly, una delle principali strutture di Gaza, avvenuto poche ore fa. Si parla di almeno 500 vittime. All’interno c’erano pazienti, medici, paramedici e, nelle immediate vicinanze, migliaia di sfollati in cerca di rifugio. Come qualsiasi parte in conflitto, Israele è obbligata al rispetto del diritto internazionale umanitario, a partire dai principi di distinzione, proporzionalità e precauzione, che impongono ai belligeranti di dirigere la propria violenza militare esclusivamente contro obiettivi militari e combattenti nemici, facendo tutto quanto è in proprio potere per limitare le perdite fra i civili e la distruzione di beni. Israele ha inoltre nei confronti della popolazione di Gaza anche una serie di obblighi aggiuntivi, al cui rispetto è tenuta in qualità di potenza occupante di quel territorio, quali quelli di assicurare l’approvvigionamento di beni di prima necessità come cibo e forniture mediche, di garantire il funzionamento degli ospedali, se del caso consentendo e facilitando l’ingresso di aiuti umanitari, come stabilito dalla IV Convenzione di Ginevra e dal I Protocollo Aggiuntivo. Ci appelliamo quindi alle Nazioni Unite affinché: ✅ Inviino immediatamente una missione urgente composta dal Segretario Generale, il Rappresentante Speciale del Segretario Generale per i bambini e i conflitti armati e tutti i/le Special Rapporteurs competenti (inclusi la Relatrice Speciale per i Diritti Umani nei Territori Occupati, la Relatrice Speciale per l’antiterrorismo, la Relatrice Speciale sul diritto di ognuno al godimento del più alto livello possibile di salute fisica e mentale e il Relatore speciale sulle esecuzioni extragiudiziali sommarie o arbitrarie) ✅ Che la missione sia finalizzata all’immediato cessate il fuoco, alla revoca del blocco cui Gaza è sottoposta dal 2007 e all’immediata fornitura di aiuti e soccorso. Dobbiamo fermare il massacro di civili innocenti. Ilan Pappe: Cari amici israeliani, ecco perché sostengo i palestinesi 14 ottobre 2023 Non è sempre facile attenersi alla propria bussola morale, ma se punta a nord – verso la decolonizzazione e la liberazione – allora molto probabilmente ci guiderà attraverso la nebbia della propaganda velenosa. di Ilan Pappe*
È difficile mantenere la propria bussola morale quando la società a cui appartieni – sia i leader che i media – prende una posizione di superiorità morale e si aspetta che tu condivida la loro stessa furiosa colera con cui hanno reagito agli eventi di sabato scorso, 7 ottobre. C’è solo un modo per resistere alla tentazione di aderirvi: se ad un certo punto della tua vita tu capissi – anche come cittadino ebreo di Israele – la natura coloniale del sionismo e fossi inorridito dalle sue politiche contro la popolazione indigena della Palestina. Se avete raggiunto questa consapevolezza, allora non esiterete, anche quando i messaggi velenosi dipingeranno i palestinesi come animali, o “animali umani”. Queste stesse persone insistono nel descrivere ciò che è avvenuto sabato scorso come un “Olocausto”, abusando così della memoria di una grande tragedia. Questi sentimenti vengono trasmessi, giorno e notte, sia dai media che dai politici israeliani. È questa bussola morale che ha portato me, e altri nella nostra società, a sostenere il popolo palestinese in ogni modo possibile; e questo ci permette, allo stesso tempo, di ammirare il coraggio dei combattenti palestinesi che hanno preso il controllo di una dozzina di basi militari, sconfiggendo l’esercito più forte del Medio Oriente. Inoltre, persone come me non possono non interrogarsi sul valore morale o strategico di alcune delle azioni che hanno accompagnato questa operazione. Poiché abbiamo sempre sostenuto la decolonizzazione della Palestina, sapevamo che più fosse continuata l’oppressione israeliana, meno probabile sarebbe stata “sterile” la lotta di liberazione – come è avvenuto in ogni giusta lotta per la liberazione in passato, in qualsiasi parte del mondo. . Ciò non significa che non dovremmo tenere d’occhio il quadro generale, nemmeno per un minuto. Il quadro è quello di un popolo colonizzato che lotta per la sopravvivenza, in un momento in cui i suoi oppressori hanno eletto un governo, determinato ad accelerare la distruzione, di fatto l’eliminazione, del popolo palestinese – o anche la sua stessa rivendicazione di essere un popolo. Hamas doveva agire, e in fretta. È difficile dar voce a queste contro-argomentazioni perché i media e i politici occidentali hanno accettato il discorso e la narrazione israeliana, per quanto problematica fosse. Mi chiedo quanti di coloro che hanno deciso di vestire il Parlamento di Londra e la Torre Eiffel a Parigi con i colori della bandiera israeliana, capiscono veramente come questo gesto, apparentemente simbolico, viene interpretato in Israele. Anche i sionisti liberali, con un minimo di decenza, leggono questo atto come un’assoluzione totale da tutti i crimini che gli israeliani hanno commesso contro il popolo palestinese dal 1948; e quindi, come carta bianca per continuare il genocidio che Israele sta ora perpetrando contro il popolo di Gaza. Per fortuna ci sono state anche diverse reazioni agli avvenimenti accaduti negli ultimi giorni. Come in passato, ampi settori della società civile occidentale non si lasciano facilmente ingannare da questa ipocrisia, già manifesta nel caso dell’Ucraina. Molti sanno che dal giugno 1967 un milione di palestinesi sono stati incarcerati almeno una volta nella loro vita. E con la reclusione arrivano anche gli abusi, la tortura e la detenzione permanente senza processo. Queste stesse persone conoscono anche l’orribile realtà che Israele ha creato nella Striscia di Gaza quando ha sigillato la regione, imponendo un assedio ermetico, a partire dal 2007, accompagnato dall’incessante uccisione di bambini nella Cisgiordania occupata. Questa violenza non è un fenomeno nuovo, poiché è stata il volto permanente del sionismo sin dalla fondazione di Israele nel 1948. Proprio a causa di questa società civile, miei cari amici israeliani, il vostro governo e i vostri media alla fine verranno smentiti, poiché non saranno in grado di rivendicare il ruolo di vittime, ricevere sostegno incondizionato e farla franca con i loro crimini. Alla fine, il quadro generale emergerà, nonostante i media occidentali intrinsecamente parziali. La grande domanda, tuttavia, è questa: anche voi, amici israeliani, sarete in grado di vedere chiaramente questo stesso quadro generale? Nonostante anni di indottrinamento e ingegneria sociale? E cosa non meno importante, sarete in grado di imparare l’altra importante lezione – che può essere appresa dagli eventi recenti – che la sola forza non può trovare l’equilibrio tra un regime giusto da un lato e un progetto politico immorale dall’altro? Ma c’è un’alternativa. Infatti ce n’è sempre stato uno: Una Palestina desionizzata, liberata e democratica dal fiume al mare; una Palestina che accoglierà nuovamente i rifugiati e costruirà una società che non discrimini sulla base della cultura, della religione o dell’etnia. Questo nuovo Stato si attiverebbe per correggere, il più possibile, i mali passati, in termini di disuguaglianza economica, furto di proprietà e negazione dei diritti. Ciò potrebbe annunciare una nuova alba per l’intero Medio Oriente. Non è sempre facile attenersi alla propria bussola morale, ma se punta a nord – verso la decolonizzazione e la liberazione – allora molto probabilmente ci guiderà attraverso la nebbia della propaganda velenosa, delle politiche ipocrite e della disumanità, spesso perpetrate in nome dei ‘nostri comuni valori occidentali”.
(Tradotto da Rania Hammad per il Palestine Chronicle. Leggi l’originale qui) * Ilan Pappé è docente presso at the University of Exeter ed ex docente di scienze politiche presso l’Università di Haifa. Tra i suoi volumi figurano La Pulizia Etnica della Palestina, Storia della Palestina Moderna e 10 Miti su Israele. Pappé è considerato uno dei ‘nuovi storici’ israeliani che, dopo la pubblicazione di documenti britannici e israeliani nei primi anni ’80, hanno contribuito a riscrivere la storia della creazione di Israele nel 1948. Ha contribuito questo articolo al Palestine Chronicle.
Da alcuni mesi è finalmente ripreso il percorso del programma Campagne Aperte con l’avvio del nuovo progetto: CAMPAGNE APERTE: LABORATORIO DI PRATICHE TERRITORIALI PER PROMUOVERE DIGNITÀ DI VITA E DI LAVORO Il progetto propone un sistema organico di interventi volti ad avviare e rafforzare processi di affrancamento dallo sfruttamento lavorativo ed isolamento sociale dei lavoratori di origine straniera presenti nel territorio della Città Metropolitana di Reggio Calabria, attraverso processi di empowerment individuali e l’attivazione di un circuito economico virtuoso, con il coinvolgimento di attori del pubblico e del privato stimolando la partecipazione dell'intera comunità. Si vuole contribuire a generare processi virtuosi in grado di autoalimentarsi in un'ottica di sviluppo locale, che vadano oltre la logica della perenne emergenza. La presa in carico individuale di persone di origine straniera in stato di sfruttamento quindi è il cuore di un intervento che vuole gradualmente arrivare a creare un contesto economicamente e socialmente vantaggioso per l'intera comunità. Sono previste azioni di promozione del lavoro, assistenza socio-legale, inserimento abitativo, consolidamento delle reti territoriali, riflessioni con il mondo della scuola, le istituzioni e le aziende.
In questi giorni stiamo avviando i percorsi con le amministrazioni della Città Metropolitana di Reggio Calabria per costruire compartecipazione e scambiare buone pratiche. Ci vediamo domani, venerdì 6 ottobre alle 18 a Gioiosa Jonica e sabato 7 alle 10.30 a Cittanova
Vi aspettiamo venerdì 6 pomeriggio a partire dalle 17 presso la Casa della Dignità Dambe So a San Ferdinando per l'incontro introduttivo del Laboratorio di Comunicazione del progetto Campagne Aperte, un progetto sostenuto dalla Fondazione CON IL SUD. La partecipazione agli incontri ed ai workshop è gratuita ed aperta a chiunque ne abbia voglia! Per maggiori info 3470144998 con Radio Ciroma 105.7
Dove Italia – Calabria Quando dal 2 Febbraio 2023 al 31 gennaio 2026 Con chi CRIC – Centro Regionale d’Intervento per la Cooperazione ONLUS (capofila), ARCI Reggio Calabria APS, Re.Co.Sol - Associazione Rete Comuni Solidali, Città Metropolitana di Reggio Calabria, Federazione delle Chiese evangeliche in Italia, Medici per i diritti umani – MEDU, Nuvola Rossa APS, Università della Calabria
GLOSSARIO ETICO E IL LAVORO NELLE SCUOLE a cura del CRIC
Il razzismo è sposare il concetto che esistano delle razze umane e identificare delle razze migliori o superiori rispetto ad altre, ciò però porta all'emarginazione da parte della società di coloro che sono apparentemente diversi, deridendoli e usandoli come valvola di sfogo per i propri fallimenti. Sinceramente questa è una cosa che non mi spiego. Come si può odiare una persona solo per il colore di pelle, la forma degli occhi o la lingua parlata? Sentire razzismo mi fa venire il voltastomaco. Non mi capacito come nel 2021 sia ancora possibile. (dal Glossario Etico)
Queste sono solo alcune delle frasi espresse dalle ragazze e dai ragazzi delle scuole superiori in Calabria, Puglia e Sicilia durante gli incontri che abbiamo realizzato con loro quando ci siamo post* alcune domande: quanto sono antiche e profonde le radici del razzismo? E i pregiudizi? Cosa c'è di culturale, di storico o di sociale di in un sistema di pensiero discriminatorio? Cosa vogliono dire concretamente gerarchia tra gruppi umani e rapporti sociali iniqui? Lavorare nelle scuole cerca di creare uno squarcio in quella che sembra un'assodata e impenetrabile cortina di sicurezza emotiva e culturale che avvolge il passato coloniale italiano, e più in generale il colonialismo come predazione e sopraffazione istituzionalizzate, e da cui hanno origine il sistema di pensiero razzista e il linguaggio razzializzante in un perpetuo rimosso storico. Ci si rende conto di quanto i processi di razzializzazione siano pervasivi e si arriva alla consapevolezza che, come scriveva Paola Tabet, la costruzione sociale del razzismo viene perpetuata nella vita di ogni giorno. Quando parliamo di pratiche antirazziste, di come decostruire il razzismo o dell'importanza di utilizzare un linguaggio consapevole, ci troviamo spesso e volentieri a confrontarci con persone che pongono già un'attenzione a questi aspetti. Lavorare nelle scuole, che nei loro microcosmi rappresentano piccoli prototipi della società, permette di fare un lavoro collettivo in cui tutte le attitudini siano rappresentate ed espresse, per una riflessione che sia ancorata alla realtà, che rimbalzi dai media agli stereotipi, da ciò che viene proposto da chi anima gli incontri ai sentimenti individuali e collettivi, fino ad arrivare agli slanci per un umanità più giusta. In questo consiste la ricchezza del lavoro con le ragazze e i ragazzi, soprattutto quando hanno la possibilità di confrontarsi con chi la razzializzazione l'ha vissuta sulla propria persona e diventano allora propensi a rimettere in discussione certe verità date per scontate utilizzando l'empatia per sviluppare spirito critico e un nuovo modo di leggere la propria realtà. Mettono in atto processi di cambiamento. Quello che emerge infatti sono una voglia di comprensione e un senso di giustizia che ha senso coltivare insieme a loro, partendo da quello che è il loro sentire e arricchendolo di contenuti laddove manca uno spazio di riflessione e di approfondimento nella costruzione del sapere (dentro e fuori scuola).
Nei laboratori che abbiamo realizzato, ci siamo soffermat* in particolare sul funzionamento delle filiere agroalimentari che ripropongono, cosi come ogni ambito della società d'altronde, strutture discriminatorie. Siamo partit* da un assunto: mangio dunque sono. Ciò che portiamo sulle nostre tavole ogni giorno, infatti, la dice lunga sul nostro modo di stare al mondo, di relazionarci con le altre persone, di vivere il nostro territorio e di abitare la natura. Il modo in cui la nostra società si organizza attorno all’approvvigionamento alimentare, ci racconta anche molto dell’organizzazione sociale che la regola: è indicativo del rapporto tra cittadini e cittadine, attori e attrici della produzione alimentare da una parte e istituzioni dall’altra e condiziona il benessere, la salute, la qualità dell’ambiente e la giustizia sociale. Quando scegliamo cosa portare in tavola, possiamo preferire un sistema incentrato sulla quantità a scapito della qualità, oppure un sistema fondato sul riconoscimento del valore del cibo. Nel primo caso il nostro approvvigionamento sarà da produzioni ad alto impatto ambientale, che impoveriscono le risorse, inducono a sistemi alimentari squilibrati, generano patologie socio-sanitarie, disuguaglianze nell’accesso al cibo, declino dei piccoli produttori e delle piccole produttrici e di intere zone rurali. E che sfruttano i lavoratori e le lavoratrici agricole, perché considerate persone senza dignità, allo scopo di abbattere ancora di più i prezzi di vendita e quindi di generare maggiore profitto per chi produce e distribuisce. Nel secondo caso decidiamo di scegliere salute, dignità, lavoro. Scegliamo un cibo che è arte e cultura, è legame con la propria terra e con le proprie radici, che si offre come mediatore di relazioni, intreccia tradizioni, ecologia e cultura e si fa promotore di processi di coesione sociale e di ri-territorializzazione. Ma soprattutto scegliamo un cibo senza sfruttamento, che lotta contro il precariato, contro la mancanza di diritti che rende vulnerabili e infiamma i discorsi e le azioni razziste e xenofobe. Nelle classi ci siamo post* la domanda: il mio modo di fare la spesa e di mangiare ha davvero tutta questa importanza? Certamente! E anche di più. Informarci, conoscere, scoprire, dialogare, toccare con mano ci rende cittadine e cittadini attivi e partecipi della creazione di comunità giuste e costruttive. Questo lavoro di scoperta e di approfondimento si è tradotto nell'elaborazione di un Glossario Etico nel quale le osservazioni da loro espresse sono state sistematizzate al fine di da dare risalto alla capacità di riflessione, analisi e lettura del contesto della parte più giovane delle nostre comunità che invece viene troppo spesso dipinta dalla classe politica come immatura. Sviluppare lo spirito critico è il primo passo per assumere una cittadinanza attiva, antirazzista, propositiva, e sono proprio le voci delle ragazze e dei ragazzi ad indicarci la strada: Esercitare la virtù della riflessione, della ponderazione, avere diritto di dubitare delle informazioni trasmesse e la capacità di approfondire al di là delle apparenze. Ognuno di noi è dotato di uno spirito critico. Dovremmo imparare ad utilizzarlo nella maniera giusta cercando le varie informazioni prima di esprimere il proprio pensiero su un determinato argomento. Lo spirito critico è la capacità di usare l’intelligenza per scegliere consapevolmente con uno sguardo al passato (ciò che c’è dietro alla lavorazione e alla produzione di quel prodotto) e al futuro (selezionando prodotti non inquinanti, a basso impatto ambientale).
Ringraziamo le classi che hanno partecipato al progetto e le/i docenti che le hanno accompagnate: Liceo Classico “B. Vinci” di Nicotera (RC), classi IV sez. A e B (2021/21), classi III sez A e B (2021/22) Istituto Tecnico Industriale “A. Panella – G. Vallauri” - Reggio Calabria, classe IIIAT (2021/22) Istituto di Istruzione Superiore G. Mazzini di Vittoria (RG), sezioni 4A - Liceo Linguistico, 3B Liceo delle Scienze Umane (2020/21) Istituto di Istruzione Secondaria Superiore Cipolla-Pantaleo-Gentile di Castelvetrano (TP), sezioni 4A, 4B, 4C e 4L del Liceo delle Scienze Umane, sezioni 4F e 4C del Liceo Scientifico (2020/21) Istituto Tecnico Economico "A. De Viti De Marco" di Casarano (LE), classi III BT, IIA AFM, IIIA SIA, III E, IIID E III B SIA (2020/21)
Tabet P. (1997). La pelle giusta, Einaudi Frisina A., Farina F. G., Surian A. (2021). Antirazzismo e scuole Vol.1, Padova Universuty Press Sei organizzazioni palestinesi nella lista delle associazioni terroristiche Il governo italiano intervenga 28 ottobre 2021 - Comunicato stampa Le organizzazioni della società civile sono estremamente allarmate per la recente decisione del Ministero della Difesa israeliano Benny Gantz di designare come “terroriste”, sei organizzazioni della società civile palestinese. Si tratta del culmine di una lunga campagna diffamatoria, denigratoria, di delegittimazione e intimidazione che il governo israeliano da anni sta portando avanti, anche con il supporto di organizzazioni come NGO Monitor, contro le organizzazioni della società civile palestinese impegnate nella difesa e promozione dei diritti umani. Il provvedimento si basa sulla legge israeliana contro il terrorismo adottata nel 2016, con la quale ampi poteri vengono dati al Ministero della Difesa riguardo all’adozione di misure amministrative, con gravi ripercussioni di natura penale. La minaccia incombente sui difensori per i diritti umani che lavorano per queste organizzazioni è quella dell’arresto, della chiusura delle sedi e della confisca dei beni. Se tutto ciò dovesse accadere, si creerebbe un danno significativo e concreto per la popolazione civile, in particolare donne e minori, che verrebbe privata di uno dei pochi strumenti di protezione contro le violazioni commesse da entità sia israeliane che palestinesi. L’intento persecutorio e la volontà di soffocare il cruciale lavoro svolto da queste organizzazioni sono evidenziati dal fatto che le ragioni addotte per la designazione risultano vaghe o indefinite. L’obiettivo di questa misura non è solo quello di screditare le organizzazioni designate, ma anche quello di marginalizzare l’importanza dei principi e degli strumenti del diritto internazionale, primo fra tutti il diritto all’autodeterminazione, che queste organizzazioni promuovono e perseguono. Inoltre, la decisione di accusare di terrorismo organizzazioni che da decenni sono impegnate ad altissimi livelli nella promozione dei diritti umani e la cui reputazione e stima è comprovata da numerosi riconoscimenti internazionali, incluso l’accesso diretto che è garantito ad alcune di loro agli organi delle Nazioni Unite in virtù dello stato consultivo speciale presso l’ECOSOC, e dalla cooperazione diretta anche con agenzie di cooperazione internazionale, tra cui quella italiana, è un messaggio politico intimidatorio che non può essere ignorato. Il Governo di Israele sta indirettamente accusando gli Stati e le organizzazioni intergovernative che hanno un passato di cooperazione con queste organizzazioni: i budget dei programmi finanziati alle organizzazioni sono infatti controllati dalle agenzie dei paesi donatori e i loro bilanci sono sottoposti ad audit annuali eseguiti da auditor esterni certificati come richiesto dalla legge palestinese. Tale decisione inoltre ha come obiettivo quello di far cessare il sostegno finanziario della comunità internazionale verso i diversi interventi umanitari, di sviluppo, di studio e ricerca realizzati da queste organizzazioni, il cui contributo alla protezione dei diritti umani e alla costruzione di una pace giusta basata sulle norme del diritto internazionale è essenziale. A fronte della chiara natura persecutoria dell’ordine militare, che lo rende di dubbia legittimità, le organizzazioni della società civile italiana chiedono che il Governo Italiano si adoperi perché la decisione venga immediatamente revocata, a meno che il Governo di Israele non dimostri, in maniera chiara e inequivocabile, la fondatezza delle accuse infamanti che sottendono alla decisione adottata. Così facendo, l’Italia eviterebbe il rischio di riconoscere o sostenere, anche indirettamente, condotte persecutorie e discriminatorie che ostacolano il diritto del popolo palestinese all’autodeterminazione, come riconosciuto da norme perentorie del diritto internazionale.
Piattaforma delle OSC Italiane in Medio Oriente e Mediterraneo AOI – Associazione ONG Italiane CINI – Coordinamento Italiano ONG Internazionali Link 2007 Società Civile per la Palestina Rete Pace e Disarmo
Ufficio stampa Francesco Verdolino Questo indirizzo e-mail è protetto dallo spam bot. Abilita Javascript per vederlo. 3398129813 |